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Troppo leggere le misure per le startup nella Finanziaria 2024

Sono ancora troppo deboli le misure a sostegno delle startup e dell’innovazione tecnologica nella nuova Legge di Bilancio, servono più risorse e più coraggio per l’anno che viene

Pubblicato il 16 Dic 2023

La nuova Legge di Bilancio 2024

La nuova Legge di Bilancio 2024 per il comparto industriale e soprattutto per le startup è abbastanza scarna. Anzi, sembra aver deluso le aspettative prefissate a inizio mandato.

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La Nuova Legge di Bilancio destina per il Mimit spese finali, in termini di competenza, pari a 18.225,8 milioni di euro nel 2024 (-4,9% rispetto al 2023), a 15.320,4 milioni di euro per il 2025 e a 9.426,7 milioni di euro per il 2026.

In primis c’è il rifinanziamento della Nuova Sabatini, una versione basic rispetto alla precedente, dove erano stati stanziati 150 milioni, più ulteriori 50 milioni a ottobre scorso, per un totale di 200 milioni nel 2023. Ora nel 2024 se ne aggiungeranno solo 100 milioni. Se i tassi sono alti e le banche erogano meno finanziamenti, è più complicato l’intervento del governo. Bisognerebbe ripartire dalle banche, magari mirando con qualche intervento al Fondo centrale di Garanzia, ottimo strumento già utilizzato in passato durante il periodo pandemico.

Poi ci sono i contratti di sviluppo, che, come per il 2023, verranno stanziati in tutto anche per il 2024 ulteriori 190 milioni, né più né meno.

E nella nuova Manovra non vi è ancora copertura su alcuni rifinanziamenti in passato giudicati prioritari, come per esempio gli IPCEI (i progetti sulla ricerca di comune interesse europeo) per i quali il Mimit aveva stimato un fabbisogno di 750 milioni di euro solo per il primo anno: è notizia di pochi giorni fa quella che vede la Commissione europea approvarne 409 milioni.

Non sono nemmeno presenti i fondi per la space economy, le telecomunicazioni, l’automotive, la microelettronica, le fiere, le aree di crisi industriali e le startup che investono in proprietà industriale.

Anche per quanto riguarda gli incentivi legati alla Transizione 4.0 sembra essere tutto in standby. Nel 2020-21 sono stati richiesti dalle imprese 120mila crediti d’imposta con Transizione 4.0 per 6,7 miliardi (mancano ancora i dati 2022). Probabilmente tutto è in sospeso per il RepowerEu (piano energetico europeo da integrare nei Pnrr che prevede ulteriori risorse agli stati membri per il finanziamento di progetti sull’energia).

Frattanto le imprese devono valutare se puntare sulle agevolazioni in corso o rinviare gli investimenti sperando che il 5.0 offra aliquote più generose. Eh sì, perché ora il Mimit vorrebbe cambiare etichetta al piano: Industria 5.0 dovrebbe essere la revisione con obiettivi più green. Con la trattativa con Bruxelles sul RepowerEu il governo conterebbe di coprire con questo nuovo capitolo del PNRR 4 miliardi per i crediti di imposta 5.0 e 1,5 miliardi per un ulteriore credito di imposta, da integrare al Piano, per l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili nei processi produttivi. Sarebbe stata l’opportunità di rifinanziare Tansizione 4.0, Ricerca e viluppo e Formazione 4.0. Ma il mancato rifinanziamento è in realtà un residuo delle politiche dei governi precedenti. Questi erano buoni strumenti che utilizzavano le piccole realtà, piccole industrie, come startup e PMI innovative. Fare ricerca e sviluppo costa e lo Stato sembra intenzionato a incentivarla da diverso tempo: dal 50% di aliquota del 2020 si è passati al 20% nel 2022 fino al 10% nel 2023. E la nuova Finanziaria non l’ha alzata.

Ecco che da tutte queste manovre la strategia di questo governo sembrerebbe aiutare quella parte di industrie che sono già “forti”, più che quelle più piccole e che fanno innovazione.

La nuova Legge di Bilancio però punta molto anche  alle ZES (zone economiche speciali): sono aree geografiche che il governo ha circoscritto dove a fronte dell’investimento in quelle aree si ha in cambio un credito di imposta per acquisto di impianti, attrezzature, ecc,  per esempio, per il 2024 il nuovo credito d’imposta stanziato e destinato a chi investe nel Mezzogiorno sarà di 1,8 miliardi di euro, ed entrerà in scena proprio dal 1° gennaio 2024. Questa manovra è molto positiva per quelle realtà come startup e PMI innovative che vogliono partire da queste zone ampliando l’ecosistema”.

L’attesa ormai è nota: la nuova Finanziaria infatti è da sempre approvata nell’ultima settimana dell’anno; poi dovrà recepire le richieste dei singoli schieramenti politici, oltre alle istanze delle parti sociali (in primis Confindustria, dalla quale si attende una decisa presa di posizione per il rilancio di Transizione 5.0). Numerosi finora sono stati gli emendamenti presentati, il cui esame probabilmente slitterà a dopo le feste di Natale.

Il nuovo PNRR

Dal Governo per le startup italiane nel 2024 sembrerebbe solo arrivare qualche briciola: dal nuovo PNRR 100 milioni di euro per supportare le startup e favorire la transizione digitale in vari ambiti, con focus su intelligenza artificiale, cloud, assistenza sanitaria, industria 4.0, cybersicurezza, fintech, blockchain e altri settori.

Il Piano partiva nel 2021 con una dotazione di 235,12 miliardi di euro, ma dopo l’approvazione della Commissione Europea e dell’Ecofin nel 2023, sono in arrivo 21,4 miliardi di euro aggiuntivi, di cui 2,9 miliardi per il RepowerEu.

Per quanto riguarda la transizione digitale, il Piano rivisitato prevede investimenti innovativi nel campo delle tecnologie, del sostegno alle startup e della ricerca e sviluppo, assegnando a questi obiettivi il 25,6% delle risorse totali, un lieve aumento rispetto al 25,1% del Piano originale. Questi investimenti si concentrano su aree come la connettività, la digitalizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo delle competenze digitali. Ma di nuovo: dei 21,4 miliardi aggiuntivi, solo 100 milioni andranno alle startup.

AI e Startup

Forse qualcosa potrebbe arrivare nel 2024 dal fondo di venture capital sull’intelligenza artificiale. Alessandro Butti, sottosegretario a Palazzo Chigi per l’Innovazione, ha spiegato al Sole 24 Ore che “Il progetto del fondo di venture capital sull’intelligenza artificiale si trova in una fase avanzata di sviluppo e vede coinvolti il Dipartimento per la trasformazione digitale, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e Cassa Depositi e Prestiti. Lo strumento finanziario sarà indirizzato alle startup e alle PMI innovative attive nel settore dell’AI ed è previsto che arrivi a cubare oltre 600 milioni di euro. Sono al momento in corso le attività tecnico-amministrative strumentali alla costituzione del fondo e la sua entrata in esercizio è prevista nel corso del primo semestre del 2024″.

Insomma, in Italia siamo ben lontani alle altre economie simili alla nostra anche se cresciamo. Secondo il rapporto di Anitec-Assinform, il mercato italiano dell’IA ha raggiunto 435 milioni di euro nel 2022, il 32% in più rispetto al 2021. Per il 2023, il valore dovrebbe riguardare circa 570 milioni di euro, con una crescita del 31% rispetto al 2022. Quindi tra il 2020 e il 2023, il mercato dell’IA ha raddoppiato il suo valore, con un aumento del 128%. Nei prossimi anni, il tasso annuo medio di crescita potrebbe essere del 28,9% fino al 2026, raggiungendo un volume di 1,2 miliardi di euro.

Secondo Visual Capitalist in Cina sono nate tra il 2013-2022, 1337 startup che si occupano di AI e sono state finanziate con 95 miliardi di investimenti privati. Negli Usa 4643 startup e 249 miliardi. L’Arabia Saudita ha recentemente acquistato da Nvidia circa 3mila processori H100, quelli necessari all’IA. L’Europa poi non sembra unita: la Francia infatti vuole correre da sola: settimane fa ha lanciato un laboratorio sull’IA con investimenti privati per un valore di 300 milioni di euro. “Ma l’Italia ha una media nazionale di aziende che adottano soluzioni di IA di circa il 35%, contro un 43% della media europea, anche se soffriamo più di altri lo squilibrio netto tra grandi player e piccole aziende, tra le quali appena il 6% del totale ha un progetto di IA attivo” sempre Butti in un’altra intervista di quest’anno.

Parliamo di un mercato che se nel 2022 ha generato 40 miliardi di dollari, probabilmente entro il 2032 darà vita a un business di 1.300 miliardi.

E, notizia di questa settimana, è proprio l’inizio dell’iter di approvazione in merito all’AI Act europeo, un primo passo. Ora, se in questo solco si insinuano i dubbi e le preoccupazioni di molti, su come tale normativa europea sull’IA potrebbe far scappare gli investimenti dal vecchio continente, si immagini in Italia il clamore generato da tale notizia – non si dimentichi la bufera mediatica avvenuta quest’anno con il Garante della privacy e ChatGpt.

Nell’ultimo editoriale di StartupBusiness ci si era soffermato proprio su questa partita, quella normativa. È bene in questo contesto riproporre la riflessione: se è vero che le normative possono essere elemento di freno all’innovazione è anche, e soprattutto, vero che avere normative non coordinate e non omogenee, come oggi è per le startup in Europa, rappresenta una moltiplicazione di tale freno. Ecco quindi che, anche in vista delle ormai prossime elezioni europee, una proposta per armonizzare il modo in cui le startup europee si sviluppano, raccolgono fondi, vanno sul mercato, potrebbe rappresentare una occasione quasi unica per dimostrare come l’aspetto normativo possa farsi efficacemente volano dell’innovazione. (Foto di Marco Oriolesi su Unsplash )

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