Sostenibilità

Zero Impack raccoglie 500k per il suo packaging as a service

Un servizio innovativo che elimina il confezionamento monouso e rende meno dannose per l’ambiente diverse abitudini alimentari che oggi caratterizzano il nostro stile di vita, come il take-away, il food delivery, le porzioni pronte.

Pubblicato il 26 Apr 2022

Zero Impack è il nome, ma anche l’obiettivo di questa startup e società benefit, nata nel 2021 dall’iniziativa di Irene e Giulio Simone. Nonostante abbia da poco compiuto un anno, ha già concluso il percorso di pre-accelerazione di B4i – Bocconi for Innovation, e il programma di accelerazione BWonder, promosso da BHeroes.

Ora annuncia di aver raccolto il suo primo round di investimento da 500mila euro che in parte è frutto di una partnership industriale con Alimentiamoci Srl, Società Benefit e start-up che, attraverso il sito Planeat.eco, promuove un modo di fare la spesa attento agli sprechi e con un focus sulla corretta alimentazione.

Tra i nuovi soci, infatti, figurano Nicola Lamberti (fondatore di Alimentiamoci), Tamburi Investment Partners S.p.A., Proximity Capital (attraverso Mercurio Holding), l’imprenditore Renato Bruno (HB4 Srl) e la famiglia del premio Nobel per la chimica Giulio Natta tramite l’Innovation Center Giulio Natta.

i fondatori di Zero Impack
I fondatori di Zero Impack, i fratelli Irene e Giulio Simone

Cosa fa Zero Impack

Come è noto, il packaging, o confezionamento, pone seri problemi di impatto ambientale. Ma è vero anche, che possiamo ridurlo ma non eliminarlo del tutto, pertanto, come recitano i dettami dell’economia circolare, uno dei ‘trucchi’ che dovremmo adottare è quello di utilizzare confezionamenti riutilizzabili. In questo modo l’impatto sul clima e sull’ambiente del packaging tende a ridursi allo zero.

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Ci si avvicinano moltissimo a questo zero Irene e Giulio Simone, fondatori di Zero Impack, che hanno pensato di trasformare i contenitori usa e getta in un servizio di smart and reusable packaging as-a-service, che prevede la fornitura di contenitori riutilizzabili, il ritiro dei contenitori usati, un servizio di lavaggio e sanificazione e, infine, la restituzione all’utente di contenitori puliti e pronti per il riuso. La circolarità del sistema è garantita da una piattaforma digitale che, attraverso una tecnologia QR codes, traccia e monitora l’intero processo. Ogni passaggio, dalla produzione alla reverse logistics, è pensato per ridurre al minimo l’impatto ambientale, come dimostrato da un’analisi di Life Cycle Assessment.

Il mercato per questo sistema è, come si può immaginare, molto articolato e potenzialmente ampio: ristorazione, alberghi, ma anche aziende, scuole, ospedali o campus universitari, ovunque ci sia anche una certa scalabilità.

Alimentiamoci, per esempio, che ha sviluppato il servizio Planeat permette alle persone di ordinare online prodotti freschi e anche cucinati di alta qualità, biologici, porzionati e lavora anche con gli uffici: per questa azienda, che è anche società benefit, riuscire a ridurre l’impatto ambientale del proprio servizio è un aspetto fondamentale.

Il tema dell’impatto ambientale riguarda direttamente moltissime aziende oggi, pertanto una soluzione come quella di Zero Impack va esattamente a risolvere un problema che molte imprese hanno.

Inoltre, il packaging di Zero Impack può diventare intelligente, cioè capace di raccogliere dati, misurare l’impatto ambientale, generare report, statistiche e indici di impatto.

Il modello di business è agli esordi: la startup punta ad espandersi in Olanda, dove il business model è già stato validato con diversi progetti pilota.

 

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