Enrico Chiapparoli, ecco come il business angel dell’anno investe in startup

Pubblicato il 25 Gen 2021

Enrico Chiapparoli è il business angel dell’anno 2020 (qui i business angel dell’anno delle edizioni precedenti ) , è stato premiato dal Club degli Investitori che ha istituito il premio e che identifica ogni dodici mesi il business angel che maggiormente si è messo in vista con i suoi investimenti (qui l’intervista a Giancarlo Rocchietti, presidente del Club degli Investitori che anticipava il premio assegnato lo scorso 29 ottobre ). Enrico Chiapparoli che è Italy Country Manager and Head of EME Automotive di Barclays, racconta a Startupbusiness cosa significa essere business angel e perché questo ruolo è uno dei perni dell’ecosistema startup.

Startupbusiness: raccontaci la tua esperienza come business angel in relazione alle operazioni che hai fatto e in generale alla bontà delle opportunità che ci sono in Italia oggi.

Enrico Chiapparoli: L’Italia ha sempre avuto una vocazione commerciale e imprenditoriale. Non mancano certo grandi idee e imprenditori che vogliano portarle avanti. Anche la nostra scienza e ricerca sono di valore assolutamente rilevante nel panorama europeo. Quindi ci sono certamente delle ottime opportunità in cui investire. La difficoltà sta nel farle crescere vuoi perché il mercato europeo è comunque frammentato per via delle molte lingue che parliamo, a differenza del mercato USA, vuoi perché finanziare una startup è ancora visto come molto rischioso dall’investitore italiano vuoi perché molti giovani imprenditori sono convinti che un buon prodotto si venda da solo e non si focalizzano sull’aspetto commerciale. la difficoltà è scalare, non partire.

SB: come illustreresti l’opportunità di essere un business angel a persone che pur avendo le necessarie conoscenze e disponibilità ancora non vedono il mondo delle startup come meritevole di investimento? Come è possibile avvicinare a questa asset class investitori che ancora non la praticano? 

EC: Io credo che con i tassi d’interesse a livelli così bassi sia necessario, per ottenere dei buoni rendimenti per i propri risparmi, diversificare il proprio portafoglio verso attività finanziare più rischiose dei BTP o del mattone. Le startup sono un buon modo di investire una parte del proprio risparmio in attività che possono generare buoni rendimenti. Certo il rischio di perdere i propri risparmi è anche molto alto, ci vuole un po’ di coraggio ma, in questo momento il costo del coraggio è proprio basso. E in ogni caso, anche per quegli investimenti che vanno male, si è comunque contribuito ad aiutare giovani imprenditori che hanno fatto esperienze sia con il danaro investito sia con le esperienze che il business angel trasmette alle startup. È un modo di condividere con la società ciò che si è imparato nella propria esperienza professionale. Il modo giusto per iniziare, secondo me, è associarsi ai gruppi di angel sempre più numerosi nel nostro paese, dal Club degli investitori a Italian Angels for Growth, Angels for Women, ecc. Così si può cominciare avvalendosi di una rete di soci che ha già fatto esperienza in questa attività d’investimento.

SB: come vedi l’evolversi dell’angel investing in Italia fino a qui e quali prospettive vedi per il futuro? 

EC: Vedo che il mondo dei business angel in Italia è cresciuto molto rispetto a quando io ho cominciato 11 anni fa. Si è organizzato, sono nati più gruppi e si sono creati anche gruppi ad hoc su specifici settori e modalità d’investimento incluso la ricerca di giovani imprenditrici o di startup che abbiano anche un impatto sociale. Credo che il trend continuerà.

SB: quali azioni metteresti in campo per migliorare l’angel investing in Italia? 

EC: Come sempre in ogni attività umana, il successo delle prime iniziative ne mette in moto della altre e delle nuove. Per attrarre nuovi angel, dobbiamo avere startup di successo finanziate dai primi angel e per avere startup di successo abbiamo bisogno di completare la catena del valore, ossia avere fondi di venture capital che possano aiutare le startup a raccogliere ulteriori round di finanziamento (Series A, B, C, D) per scalare il proprio business. Ecco io lavorerei su queste fasi a valle. La CDP in questo ambito ha fatto veramente molto negli ultimi tempi per esempio, e questo lavoro si farà sentire nei prossimi cinque anni. Teniamo presente che dall’investimento seed alla exit passato in media 8-9 anni. Serve tempo per vedere i successi. 

SB: hai fatto operazioni anche all’estero? se si quali differenze vedi tra l’ecosistema italiano e quelli di altri Paesi dal punto di vista del business angel?

EC: Si, ho fatto qualche investimento all’estero in aziende comunque collegate in qualche modo all’Italia. La differenza è nella numerosità e dimensione dei successivi round di finanziamento. Molto spesso le startup USA, per esempio, raccolgono il doppio o il triplo dei loro concorrenti esteri e quindi riescono a scalare prima e dominare i mercati globali.

SB: quali sono gli elementi che guardi maggiormente in una startup che valuti quale possibile investimento? 

EC: Mi piace investire in alcuni settori come il biotech, il deep tech, la transizione energetica e l’economia circolare. Sicuramente però il team che deve portare avanti l’investimento è l’elemento più importante. Non è difficile avere buone idee; la difficoltà è riuscire a realizzarle velocemente e venderle sul mercato. Il team ideale ha passione, capacità di saper ascoltare e soprattutto perseveranza.

SB: che significato ha per te essere nominato business angel dell’anno? 

EC: Mi ha fatto molto piacere perché il business angel è il mio secondo lavoro se così si può dire e lo faccio sostanzialmente nel mio tempo libero. Quindi ottenere questo riconoscimento ha valore doppio per me. Vorrei utilizzare questo riconoscimento per aiutare ancora più imprenditori a finanziare e realizzare le loro idee.

SB: quale è l’importanza di investire nel quadro di un gruppo di business angel, nel tuo caso Italian Angels for Growth (IAG), e quale la differenza nel fare operazioni a titolo individuale? 

EC: Non faccio mai operazioni individuali perché non avrei il tempo di conoscere, validare e seguire tutti gli investimenti. Un buon portafoglio deve avere almeno 10-15 investimenti, io ne ho fatti 25 sinora e, non essendo il business angel il mio lavoro principale, non riuscirei a seguirli tutti. Ne seguo io due per conto dei soci IAG e altri soci IAG seguono gli altri per me. È il bello di investire in gruppo.

SB: quali e quante operazioni hai fatto, quali ti stanno dando maggiori soddisfazioni, quali i settori, se ci sono, che ritieni più promettenti?

EC: Ho fatto 25 investimenti, due buone exit (Musement e Inventia) e quattro write-off. Tra gli investimenti ancora in portafoglio quelli più promettenti sono nel biotech e nel medtech ma i tempi di exit in questi settori sono più lunghi che in altri.

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