Enrico Deluchi ‘Faremo del Polihub il luogo in cui chi fa deep tech vuole essere’

Il nuovo General Manager dell’incubatore del Politecnico di Milano rivela in questa intervista le ambizioni per il futuro del Polihub

Pubblicato il 14 Ott 2020

Prima di tutto sgombriamo il campo da una definizione che gli avevamo attribuito, ‘nerd’, che gli va stretta, perché lui è sì ingegnere, inventore, esperto e appassionato di tecnologia, ma non innamorato di tecnologia. Per lo meno non di quella fine a se stessa.

Enrico Deluchi, il nuovo General Manager del Polihub, l’incubatore di startup innovative del Politecnico di Milano, ci ha raccontato tante cose sulla sua visione della tecnologia, dell’impresa e su come intende condurre l’incubatore, riconosciuto come uno dei migliori al mondo, dove ha da poco assunto il ruolo lasciato da Claudia Pingue, chiamata alla guida del fondo di trasferimento tecnologico di  CDP Venture Capital Sgr.

Enrico Deluchi, è contento? Si aspettava questa nomina?

“La nomina è stato un evento a sorpresa, conseguenza della nomina di Claudia Pingue, ma per fortuna già dall’inizio dell’anno il presidente Sianesi mi aveva chiamato a collaborare con la Fondazione Politecnico e il Polihub, un lavoro dietro le quinte per ridefinire le strategie. Per cui non era nell’aria la nomina, ma non mi ha colto impreparato. E poi sono molto contento, io mi sono laureato qui, sono un ingegnere del Politecnico di Milano e mi sono sempre occupato di innovazione. A 19 anni ho fondato una mia azienda, a quel tempo non sapevo di essere ‘il founder di una startup…ero solo uno che aveva aperto una ditta individuale che costruiva dispositivi nel suo garage e li vendeva, facevo dispositivi per la prospezione geofisico, ho persino brevettato qualcosa…come mai? mio padre era un geofisico e avevo imparato tante cose da lui. Dopo la laurea mi sono sempre occupato di innovazione nelle aziende in cui ho lavorato, ho cominciato a occuparmi di internet nel ’90, ho partecipato alla costruzione di internet, delle infrastrutture di rete in Italia, poi ho lavorato per Cisco per quasi 20 anni e lì sono stato sempre sulla frontiera dell’innovazione. Negli ultimi anni mi sono occupato full time di startup in vari ruoli, come business angel, advisor, investitore, mentor, per me poter fare questo lavoro adesso in Polihub è molto bello e stimolante e mi sento di poter aiutare tanti giovani a fare impresa“.

Deep tech: ha già detto che sarà un tema su cui puntare. Qual è la sua visione tecnologica rispetto alle grandi sfide dell’umanità e alle questioni etiche?

“La mia visione è ottimistica e positiva per il ruolo che può avere la tecnologia, ma serve una componente filosofica, sociologica, etica, in tutto quello che si fa con essa. Ho un’idea molto precisa rispetto della tecnologia,  la capisco e mi piace, ma non ne sono innamorato, non di quella fine a se stessa, ne sono sempre stato affascinato piuttosto come strumento, perchè riesce a far fare dei salti e dei miglioramenti incredibili all’umanità. Oggi, però, è davvero necessario guardare alla tecnologia non solo con gli occhi del tecnologo, ma anche con quelli dell’umanista, del filosofo, del sociologo: la tecnologia ha un impatto sulla vita e sull’essenza stessa dell’essere umano, se pensiamo all’intelligenza artificiale spinta al massimo, ai social media e alla data analysis spinta al massimo, a dove tracciare il limite in ambito biotech, beh sono tanti i temi che abbiamo davanti e che ci pongono grandi interrogativi. La questione etica è molto complessa, perchè non c’è uno standard, chi è che decide quello che è etico? quello che è etico da noi può non esserlo dall’altra parte del mondo.

Bisogna tenere insieme questi due aspetti, tecnologia ed etica, lo yin e lo yang, per affrontare le sfide dell’umanità. Certo, non si puo’ pretendere che tutti quelli che si occupano di tecnologia abbiano tutte queste competenze, questa dualità di vedute,  i ricercatori, gli scienziati, sono sempre molto concentrati sui loro obiettivi e ricerche, serve qualcun altro che bilanci con le altre componenti che prima citavo“.

Questo qualcun altro, il mediatore tra tecnologia ed etica, può essere un incubatore? può essere il Polihub?

“Assolutamente sì, anzi. Non dimentichiamo che il Polihub è una costola del Politecnico e che nasce per svolgere la terza missione dell’università, cioè creare un impatto per la società. La terza missione, il creare impatto, è un tema molto sentito all’interno del Politecnico, fa parte della sua cultura, si respira nei corridoi dell’università e si trasferisce al Polihub, io lo vedo nelle stesse startup che incubiamo, dove i fondatori non mettono al primo posto tra le proprie ambizioni ‘fare un sacco soldi e diventare unicorni’, ma trovare soluzioni per migliorare la vita delle persone, l’ambiente, la società. E’ una spinta motivazionale che si intreccia con la cultura d’impresa, molto viva in questa nuova generazione d’imprenditori, che hanno moltissima sensibilità e preparazione, più delle generazioni precedenti, per le questioni che riguardano la sostenibilità e determinati temi etici. Questo è ciò che vedo qui al Polihub e che mi piace, perché è giusto anche diventare ricchi, creare grandi imprese che danno posti di lavoro, ma facendo cose che servono veramente, diventa un rapporto win-win tra l’impresa e il territorio e la società”.

Sostenibilità: il Mip è da poco diventato B Corp, questo influenzerà anche le strategie del Polihub?

“Anche noi abbiamo in mente di diventare B Corp, è un processo già iniziato. Noi sentiamo molto questo ruolo di sposare l’innovazione tecnologica anche spinta, il deep tech, d’altro canto al Politecnico nascono invenzioni, brevetti,  e crediamo che in questo settore possiamo dare un conributo importante al Paese e anche nella direzione più coerente con l’identità di questo Paese, che è un paese manifatturiero, dobbiamo rinforzare anche questo legame tra l’innovazione tecnologica che nasce al Politecnico e la nostra industria.

Il deep tech è una caratterizzazione naturale per noi, lo è sempre stato, ma adesso abbiamo un’ambizione in più: vogliamo che il Polihub diventi il luogo in cui chi fa deep tech vuole essere, vogliamo coinvolgere una comunità sempre più ampia di imprese, investitori, innovatori, startup interessati a questi argomenti ed essere un catalizzatore di questo ecosistema”.

Ciò include anche maggiore collaborazione tra incubatori, che forse in Italia è un po’ mancata?

“Siamo il paese dei campanili, la nostra cultura è questa. Oggi però il mondo ci sta insegnando che l’innovazione viaggia tanto più veloce quanto più si creano rapporti e relazioni, quanto più ampio e stretto è il network di persone che si occupano di un certo argomento, perciò la mia, la nostra intenzione come Polihub è allargare il nostro network perchè questo fa bene al sistema. Poi bisogna trovare la maniera affinchè questo porti anche risultati migliori per ognuno e per tutti”.

Donatella Cambosu

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