Investimenti in startup, perché sono fondamentali

No startup, no party. Nessun cambiamento all’orizzonte, nessun futuro, se non c’è supporto all’innovazione e agli investimenti in startup, ben vengano le critiche se costruttive

Pubblicato il 16 Ott 2017

La scorsa settimana abbiamo pubblicato un articolo che raccoglie le notizie più recenti relative alle raccolte che i fondi italiani che investono in startup e scaleup hanno annunciato.

L’articolo parla di un miliardo di euro di cifra complessiva che per alcuni merita esultanza perché si tratta di una cifra considerevoli, per altri invece non è sufficiente, per altri ancora è invece importante aspettare e vedere poi come questi soldi saranno investiti.

Ciò che però risulta importante è definire meglio la portata di questa informazione considerando con maggiore attenzione le dinamiche che caratterizzano i modelli di investimento in capitale di rischio. Vi è infatti il timore che alcuni ancora confondano tra la cifra raccolta dai fondi e la cifra che viene effettivamente investita su base annua, o comunque in un periodo di tempo determinato.

Va quindi posta enfasi sul fatto che un conto sono i fondi oggetti della raccolta, un altro l’ammontare degli investimenti effettivi nell’arco dell’anno solare (per comodità prendiamo questo parametro temporale che è quello che ci permette anche di fare i confronti sia con l’andamento rispetto agli anni precedenti, sia con quanto avviene in altri contesti geografici).

I fondi di venture capital infatti hanno periodi di investimento pluriennali pertanto affermare che la raccolta dei fondi è pari a un miliardo di euro non significa che ora ci si possa attendere, diciamo per il prossimo anno solare, un investimento complessivo di tale portata. Tutt’altro, una tale raccolta, fatte le dovute proporzioni, può corrispondere a investimenti effettivi compresi tra i 200 e i 250 milioni di euro all’anno. Il che è, o meglio ci auspichiamo sarà, in linea con quanto già avviene in Italia dove, a fronte di una cifra complessiva che ha sfiorato i 200 milioni di euro di investimenti nel 2016, si attenderebbe una crescita nell’anno corrente e una ulteriore l’anno successivo.

Purtroppo però pare così non sia, salvo il verificarsi di una netta accelerazione, un colpo di reni potremmo dire, negli ultimi tre mesi scarsi di quest’anno solare, infatti, basandoci su dati ancora tutti da verificare ma raccogliendo le singole notizie di investimento, il fenomeno appare in contrazione, in altre parole c’è il forte rischio che nel 2017, una volta fatti tutti i conti, in Italia si sarà investito in startup meno che nel 2016. Il che è grave sia perché l’inversione di tendenza porta a un rallentamento generale della credibilità del sistema, sia perché una contrazione porta l’Italia ad allontanarsi ancora di più da ciò che avviene nelle altre economie europee che già registrano numeri dalle 6 alle 15 volte superiori, sempre in termini di investimenti annui come appunto opportunamente riportato anche nell’articolo sopra citato.

All’inizio dell’anno ci auguravamo, e qui lo abbiamo scritto, che il 2017 si potesse manifestare come l’anno protagonista di una crescita sostanziale (a dire il vero lo speravamo anche per il 2016 e pure per l’anno precedente), ciò anche grazie alle nuove misure come i Pir e soprattutto come l’aumento della detrazione fiscale per chi investe in startup innovative passata dal 19 al 30%. Nemmeno questa misura però pare abbia saputo incidere e ciò è importante da sottolineare perché giunge come ennesima conferma dell’inefficacia delle politiche a sostegno delle startup nel nostro Paese. Tale contrazione è ancora più significativa quando si tratta di investimenti di fascia più alta, quelli a sostegno della crescita delle scaleup e ciò incide soprattutto su quelle startup italiane che hanno saputo crescere e che oggi sono pronte a fare il salto verso una maggiore strutturazione ed espansione anche internazionale, quelle che abbiamo chiamato la Champions league delle startup italiane e che sono quelle che per poter crescere hanno dovuto e devono spostarsi all’estero per trovare i capitali.

L’urgenza di un profondo cambiamento delle politiche a sostegno delle startup la propugnamo da tempo, insieme a relative proposte alternative, da quando la legge sulle startup innovative è stata varata nel 2012, ma nel frattempo è nostro dovere continuare a sostenere con forza anche il fatto che le startup sono fondamentali: esse si possono criticare, si può criticare anche il sistema nel suo complesso, si può anche scivolare nell’ironia volendo, ma non si può pensare, nemmeno per scherzo, che le startup non siano importanti. Vanno bene le critiche ma che siano costruttive e possibilmente anche propositive, non vanno bene le critiche che sfociano nel ridicolizzare le startup e farle sembrare un fenomeno passeggero, folkloristico, che tanto è inutile supportare con decisione. Il concetto, la filosofia, il paradigma delle startup è chiave, lo hanno capito le più evolute economie del Pianeta, e anche quelle che siamo abituati a considerare in via di sviluppo, ed è giusto e doveroso che lo capisca anche l’Italia (in attesa che magari si sviluppi maggiormente il quadro europeo in merito).

Chi critica le startup in modo distruttivo è chi ha paura dei cambiamenti, chi ha paura del futuro, chi ha paura di perdere diritti acquisiti, rendite di posizione, potere. Chi critica le startup in modo distruttivo sono coloro che desiderano tenere il nostro Paese nella palude della mediocrità e della marginalità periferica. Bene fa chi invece critica le startup e il loro ecosistema sapendo che è urgente uscire dall’impasse attuale e trovare una strada affinché anche in Italia si possa veramente fare impresa di nuova generazione in modo strutturato, che non vuol dire solo fare cose nuove ma soprattutto farle in modo nuovo. Bene fa quindi chi critica in modo costruttivo e partecipa direttamente e indirettamente alla costruzione di un ecosistema che deve essere sempre più forte e sano e che deve crescere anche in termini di dotazione finanziaria la quale porterà beneficio non solo alle singole startup, ma anche a tutti gli attori dell’ecosistema, compresi incubatori, acceleratori, aziende e anche realtà come la nostra di Startupbusiness.

È giusto quindi che si parli del miliardo di euro perché questi soldi stanno arrivando e dovranno essere investiti, in un anno magari no, ma in due, tre, quattro anni, e se già si arrivasse a un volume di investimenti annui maggiore del 50%, del 100% rispetto a quello attuale sarebbe un passo avanti importante, ancora piccolo se confrontato con altri Paesi ma certamente nella direzione giusta. Che siano quindi benvenuti questi fondi, sia privati, sia pubblici, sia ibridi; che siano capaci di diventare operativi rapidamente e che dimostrino una volta per tutte che investire in startup è una cosa molto intelligente da fare, sia per chi investe, sia per chi fa impresa, sia per il futuro del tessuto economico e sociale del Paese.

E che finalmente si crei l’effetto volano virtuoso, una reazione a catena a sostegno della crescita che ci porti a poter scrivere in un giorno non troppo lontano di un miliardo di euro non di raccolta ma di investimenti annui, con quindi raccolte 4 o 5 volte superiori (in attesa che nel frattempo si compiano passi avanti anche a livello normativo nel contesto europeo come sta facendo il programma Financial and Institutional Reforms to build an Entrepreneurial Society FIRES, del quale torneremo a scrivere).

@emilabirascid

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