La Champions league delle startup italiane

Non sono i progetti d’impresa a mancare in Italia, l’ecosistema cresce, ma serve ancora accelerare per raggiungere in 5 anni 1 miliardo € d’investimenti

Pubblicato il 29 Apr 2017

Non tutte le startup sono uguali, non tutte le startup sono nel registro di Stato, non tutte le startup escono da incubatori o acceleratori, non tutte le startup guardano più all’esposizione mediatica che alla creazione di valore economico e industriale.

In Italia siamo arrivati a un punto di svolta. Da un lato le politiche del governo nazionale che definire deludenti è un eufemismo, per ammissione stessa del Ministro Carlo Calenda recentemente intervenuto a un evento pubblico, ciò che è stato fatto fino a oggi è servito a ben poco se non a creare confusione, tanto che oggi ci sono imprenditori che si sentono innovativi solo perché la loro azienda è stata ammessa nel registro delle startup innovative di Stato e finalmente si inizia a vedere l’effetto degli incentivi per gli incubatori per quello che sono: strumenti usati per qualche speculazione edilizia. Lo ammette candidamente il governo stesso .(http://www.ilmessaggero.it/primopiano/politica/calenda_casaleggio_sviluppo_economico-2407743.html e  http://www.corrierequotidiano.it/1.63820/economia/lazio-roma/1097/italia-divisa-due-si-alla-web-tax riportano un po’ di cronaca dei recenti interventi pubblici del Ministro Calenda).

I numeri, lo abbiamo detto, ridetto, ripetuto sono impietosi. L’Italia investe in startup meno di un decimo della Francia e meno di un terzo della Spagna (meglio lasciare perdere il confronto con altre economie come US o UK) secondo i dati 2016, e non va certo meglio nel primo trimestre di questo 2017 con l’Italia che si ferma a meno di 50milioni di euro, la Francia che vola a 600milioni di euro e la Spagna che tocca i 330milioni di euro (fonte: Dealroom 2017 Q1 European Venture Capital Report) . Game, set, match. A quasi cinque anni dall’entrata in vigore delle misure pubbliche i risultati sono questi. Un fallimento al pari dei tentativi di salvataggio di Alitalia.

Ma si va avanti comunque perché, fedeli al motto di ‘meno Stato, più mercato’, ci sono gli imprenditori, quelli bravi, quelli seri, quelli che sviluppano aziende che iniziano ad attirare attenzione degli investitori internazionali, che iniziano ad aprire le sedi all’estero, che assumono persone con una rapidità impressionante, che diventano global company ma conservano in Italia gran parte della loro operatività. È la Champions league delle startup italiane.

Aziende di ogni settore e che solo di rado assurgono a caso mediatico, che solo raramente sono iscritte al registro di Stato delle startup, che solo raramente hanno mosso i primi passi in un incubatore e che non di rado fanno il primo round di investimento con valori già sopra il milione.

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(fonte entrepreneurfail.com)

Iniziano a essercene un po’ di queste startup, qui a Startupbusiness le stiamo seguendo e analizzando, le vediamo crescere e allinearsi quando si tratta di partecipare a occasioni che le aiutano effettivamente a sviluppare il loro business sia in Italia sia all’estero, occasioni che mettono al centro il valore che queste startup e scaleup stanno sviluppando e la loro capacità di crescere e svilupparsi, lo spessore delle persone che le hanno create e le stanno trasformando in imprese solide e globali. Alcune di queste startup e scaleup le si vedono tra quelle che partecipano a ScaleIT per farsi conoscere da investitori internazionali, altre tra quelle che fanno applicazione al Premio Marzotto per partecipare al Premio per l’Impresa che è sempre più orientato a sostenere imprese innovative che già hanno dimostrato di avere aderenza con il mercato, quelle che partecipano al Digital360 Awards per incontrare potenziali partner industriali, altre ancora tra quelle che partecipano a progetti internazionali come per esempio la call di Tech Silu per la Cina, l’Italian Innovation Day di Tokyo, o Startit.Asia a Hong Kong.

Queste startup e scaleup della ‘Champions league’ sono fondamentali perché dimostrano come sia possibile costruire aziende di spessore che creano valore economico e industriale, che creano posti di lavoro e che si trasformano anche in qualche bella soddisfazione per alcuni investitori mostrando quindi che investire in imprese di nuova generazione è sì capitale di rischio ma può avere ritorni considerevoli. La loro esistenza è la rinnovata conferma di come in Italia ci sia una nuova generazione di imprenditori che, come fecero le generazioni passate, riesce a superare tutte le difficoltà strutturali e a emergere.

Ciò però non significa che non si debba lavorare per continuare ad alimentare questo serbatoio e per fare crescere i fondi che in Italia sono investiti in questa direzione. Semmai la presenza delle startup della ‘Champions league’ deve essere ulteriore stimolo per rivedere profondamente le politiche fino a qui attuate e per creare nuovi strumenti (al netto di quelli che sono partiti recentemente di cui attendiamo di capire quali saranno gli effetti) e per far fare un salto significativo all’ammontare degli investimenti.

L’Italia deve accelerare in tal senso perché la mancanza di fondi rischia di accrescere la marginalizzazione dell’ecosistema e di accelerare il processo di emigrazione delle startup e scaleup (e non solo in termini di delocalizzazione amministrativa e fiscale come già avviene, ma anche di delocalizzazione della ricerca e sviluppo che invece fino a ora è rimasta in Italia perché vi sono alte competenze, alta qualità della vita e alta competitività internazionale).

Bisogna darsi un obiettivo chiaro e netto sia in termini di ammontare sia in termini di tempo, bisogna riuscire a raggiungere almeno i livelli della Spagna entro massimo tre anni e superare il miliardo di euro di investimenti annui entro al massimo cinque anni. Per farlo serve favorire gli investimenti in capitale di rischio da parte di aziende e privati, serve che i fondi pubblici o di genesi pubblica, compresi quelli che pare siano in procinto di partire per affiancarsi a business angel, agli acceleratori e per sostenere la fase di grow-up, facciano non solo i portatori d’acqua ma anche da traino per i privati. Serve che le imprese facciano maggiore sinergia tra loro e con i fondi di venture capital per accrescere in modo esponenziale l’efficacia degli investimenti sia finanziari sia industriali e serve continuare a lavorare sull’attrazione dell’interesse, e possibilmente anche degli investimenti, internazionali verso le startup italiane. Ciò si deve fare soprattutto negli ambiti industriali in cui l’Italia e il made in Italy sono considerati al vertice nel mondo, lo vediamo accadere con gli olandesi di Startupbootcamp che hanno scelto Roma per il loro programma food tech, con il Fashion Tech Accelerator di Milano che attira sempre più startup da tutto il mondo, lo vedremo con TechStars che assai probabilmente annuncerà qualcosa di altrettanto importante sempre nel food tech durante la Food Week di Milano , il vice presidente per il business development dell’organizzazione statunitense Kevin Tapply (che abbiamo intervistato qualche tempo fa) sarà infatti uno degli speaker di Seeds&Chips.

Se così non si farà rischiamo di continuare a perdere terreno e nel medio termine di assistere a un’accelerazione sostanziale e significativa della migrazione di imprese e imprenditori con conseguente impoverimento industriale, culturale, economico e come conseguenza l’inasprimento di problemi strutturali come per esempio la creazione di posti di lavoro per le giovani generazioni, perché non tutti, giustamente, vogliono fare gli imprenditori, ma se coloro che lo fanno trovano terreno fertile saranno anche coloro che andranno alla caccia di talenti e di competenze portando così ricchezza anche sui territori di origine. Inoltre imprenditori di successo poi diventano anche investitori che supportano altri imprenditori e così facendo creano un circolo virtuoso capace di attirare anche altri capitali.

Insomma serve un innesco per avviare il processo di sviluppo capace di crescere a ritmi esponenziali e le startup e scaleup della ‘Champions league’ possono e devono essere questo innesco per l’esempio che danno, per il valore che creano, per lo stimolo che possono rappresentare alla definizione di nuove politiche pubbliche e di strategie da parte dei privati.

@emilabirascid

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