editoriale

Nel deep tech c’è la soluzione per il climate change

Le tecnologie, la ricerca scientifica, il deep tech sono le armi migliori che abbiamo per combattere il cambiamento climatico e tutte le sue conseguenze

Pubblicato il 01 Ott 2021

Ci siamo, i nodi stanno venendo al pettine. Cop26, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico si terrà a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre 2021 e sarà, dovrà essere, decisiva. Il percorso verso la conferenza è già iniziato con Pre-Cop ospitata a Milano dal 30 settembre al 2 ottobre 2021 e con Youth4Climate, sempre a Milano dal 28 al 30 settembre. 

È il momento di prendere la questione del cambiamento climatico di petto, vale tutto, anche rinverdire i più popolari tra gli slogan cari agli attivisti di ogni bandiera come ‘se non ora quando’ e ‘senza se e senza ma’, è fondamentale prendere posizione e avviare un processo di decisa e inarrestabile cura per il pianeta. Ma come? Certo le decisioni politiche sono importanti, le dichiarazioni di intenti pure, la definizione di obiettivi realistici da raggiungere nei prossimi anni anche, ma serve pure e, soprattutto, tantissima tecnologia e innovazione. 

Se c’è un elemento concreto che veramente può fare la differenza è la capacità di sviluppare sistemi, tecnologie, prodotti, servizi innovativi e capaci di essere compatibili con l’ambiente in modo nativo. Per le startup e le scaleup di tutto il mondo questa non è una novità, da sempre chi pensa a qualcosa di innovativo non può fare a meno di pensarlo in modo che sia a basso, se non nullo, impatto ambientale, altrimenti sarebbe un fallimento in partenza, non si troverebbero i finanziatori e tantomeno i clienti. Ma serve fare un passo in più e lavorare su innovazioni capaci non solo di essere ecologicamente compatibili ma di essere perno per la soluzione dei problemi legati al cambiamento climatico. Sotto il cappello di questo macro problema c’è tutto: c’è l’energia, c’è la salute, c’è l’alimentazione, c’è la gestione dell’acqua, c’è la gestione dei flussi migratori, la gestione delle emergenze, la produzione, la logistica, la mobilità, la cura di mari, di foreste, c’è tutto. È la madre di tutte le sfide, comprese quelle tecnologiche. 

Certo ci sono i grandi obiettivi come la fusione nucleare che risolverebbe in un sol colpo tutte le questioni energetiche potendo produrre energia pulita, infinita, virtualmente gratuita, ma è una sfida ancora piuttosto lontana dall’essere vinta, benché sono stati fatti passi tecnologici importanti verso il suo compimento come, per citare il più recente, la messa a punto del magnete superconduttore che ha superato tutti i record precedenti, annuncio fatto a inizio di settembre da MIT e dalla startup Commonwealth Fusion Systems (CFS) . La costruzione di un campo magnetico in grado di contenere il processo di fusione nucleare è elemento cardine per la realizzazione di una centrale basta su questa tecnologia. Sempre restando sul nucleare si sta anche lavorando a tecnologie che, pur basandosi sul principio di fissione, mirano a rendere più sicura, efficace e pulita la produzione di energia dall’atomo come mostrano i casi dell’italo-britannica Newcleo e della statunitense TerraPower finanziata da Bill Gates. 

Questo esempio è indicativo di come le tecnologie siano fondamentali per rispondere all’emergenza del cambiamento climatico e non solo nell’ambito dell’energia, numerose sono le startup che pensano a rinnovare il modo in cui si produce il cibo, in cui si coltiva, che sviluppano tecnologie per pulire i mari dalla plastica o per prevenire gli incendi di boschi e foreste, che lavorano nell’education, chiave di volta per mitigare il fenomeno delle migrazioni di massa e distribuire in modo più equo il benessere, e così via. La gran maggioranza delle tecnologie che ci aiuteranno a salvare il pianeta e noi stessi è di tipo deep tech, si tratta quindi di prodotti e soluzioni che sono il frutto di ricerca scientifica, gente che lavora al quantum computing, ai nuovi materiali, alla prossima generazione di batterie, allo sviluppo dell’idrogeno come possibile carburante, all’utilizzo intelligente dello spazio, alla nuova generazione di farmaci e strumenti per la diagnosi, all’ottimizzazione della produzione agricola, che usa intelligenza artificiale, robotica, 3d printing, editing genetico. Queste sono le startup e le scaleup che più di tutte possono contribuire a sviluppare tecnologie distruttive capaci di aiutarci ad arrestare il cambiamento climatico e rimettere il pianeta sulla giusta strada. 

Queste aziende spesso non fanno notizia, ma creano valore concreto, creano posti di lavoro, creano ricadute economiche, finanziarie, sociali anche se non diventano unicorni. Gli unicorni sono un fenomeno, è giusto celebrarli perché ciò aiuta a fare comprendere che le startup sono ormai un fenomeno strutturale e unica strada possibile per il rinnovamento socio-economico, ma non è essere unicorno che fa la differenza, la definizione di unicorno va bene quando si guardano gli aspetti finanziari, quindi la valutazione della startup, piace molto agli investitori, e infatti fu una investitrice che si chiama Aileen Lee, co-fondatrice del VC Cowboy Ventures che ha usato il termine per la prima volta nel 2013, ma non è quello il parametro su cui calcolare la vera misura del valore che le startup creano. Il vero valore lo da l’impatto che le loro innovazioni hanno nel migliorare il mondo nel breve, medio e lungo termine. È perciò, per esempio, importantissima una iniziativa come la scuola per imprenditori deep tech (di cui scrivemmo qui ) che si è svolta a Milano nei giorni scorsi, perché avvicina ricercatori e ricercartici, scienziati e scienziate, informatici e informatiche, ingegneri, all’opportunità della imprenditorialità e questo può fare tanta differenza perché solo portando fuori dai laboratori le innovazioni e facendole diventare imprese capaci di rendere tali innovazioni disponibili a tutti, di renderle prodotti e servizi efficaci e fruibili, si può accelerare nel rendere il mondo un posto migliore e nel combattere le grandi crisi di questo secolo. (Photo by Markus Spiske on Unsplash )

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