Product market fit: la tua startup è un “must have” o un “nice to have”?

Esiste una linea netta, un vero spartiacque tra startup “nice to have” e “must have”. Per essere vincente devi essere una ‘must have’, ecco perché

Pubblicato il 11 Ott 2019

Pierluigi Casolari

Da 10 anni propongo a gruppi industriali in vari settori servizi innovativi e startup. L’ho fatto sia da CEO che da advisor di altre startup. Una cosa che ho capito è che esiste una linea netta, un vero spartiacque tra startup “nice to have” e “must have”.

Nel settore della moda, il must have è quel capo o accessorio che, chi pretende di avere stile, non può non avere. Il “Must Have” è la soluzione al bisogno di stile, gusto, standing di chi è attento alla moda.

La startup ‘must have’

Le startup “must have” sono quelle che soddisfano un bisogno esplicito, urgente e prioritario. E che – ovviamente – lo soddisfano in modo efficace, meglio di altre e approssimative soluzioni precedenti.

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Il venture capitalist Marc Andreessen definisce questa situazione ideale: Product Market Fit. Che si riassume nella perfetta corrispondenza tra un bisogno di un segmento di mercato e l’efficacia della soluzione proposta per questo problema. Il raggiungimento del product market fit è condizione necessaria per la scalabilità, è il “Sacro Graal” della crescita.

La startup ‘nice to have’

A volte crediamo di averlo raggiunto ma si tratta di falsi positivi. Il primo falso positivo è il “nice to have”. Ci sono alcuni segnali inequivocabilmente indice di startup “nice to have”. Se il potenziale cliente rimanda costantemente la decisione di comprare il tuo servizio, se dopo i meeting, ti viene detto che non c’è più budget, se il tipico feedback è che il tuo servizio è interessante ma non è il momento giusto e ci si dovrebbe risentire tra 6 mesi, oppure che eventualmente si potrebbe fare un test “ma gratuitamente” allora è molto probabile che la tua startup sia un “nice to have”.

Le startup “nice to have” sono quelle che non risolvono problemi importanti, impellenti, prioritari. Non è detto che non risolvano un problema. Solo che è altamente probabile che tale bisogno non sia veramente prioritario. E’ capitato anche a me. Il cliente mi diceva: “avete realizzato un servizio davvero interessante. In questo momento però non abbiamo budget. Ne possiamo riparlare tra 6 mesi”.

Interpretavo la risposta come “un si, ma a medio termine”. E mi dicevo “Tra 6 mesi, firma il contratto”. Passato il periodo di quarantena lo ricontattavo ma il cliente era comunque sfuggente, o mi rimandava un ulteriore volta. Infatti, dal punto di vista delle metriche il problema tipico di una startup “nice to have” è la fase di acquisizione. Che sia consumer o business, acquisire nuovi clienti sembra drammaticamente difficile. In contesti consumer, il costo di acquisizione è alto. In contesti business, il ciclo di vendita è interminabile. Non si riesce ad ottenere l’attenzione del cliente, che ovviamente è distribuita su bisogni più importanti.

Il secondo falso positivo è quando il tuo prodotto aggredisce effettivamente un problema importante, ma lo fa nel modo sbagliato. Possiamo chiamarlo “product market unfit”.

Questa situazione è subdola. Da un lato infatti riesci a costruire un dialogo con i clienti. Non passi più il tempo al telefono per strappare appuntamenti con i tuoi potenziali clienti. Al contrario. Vieni invitato costantemente a meeting e concludi efficacemente trattative commerciali. Il problema in questo caso è l’execution.

Nel 2007 fondai Koinup.com un social network per i giocatori dei multiplayer online. In particolare avevamo come target gli utenti dei mondi virtuali non gaming (Second Life, IMVU, The Sims Online). Sebbene nell’ambiente 3D era possibile socializzare, non era facile gestire le amicizie e i contatti. Il bisogno esisteva. Cosi sviluppammo la piattaforma, ma non riuscivamo a trovare la UX corretta. Incerti se accentuare la parte di condivisione contenuti, oppure le funzionalità social. E questo lo capivamo perché non facevamo fatica ad attrarre utenti. Ma dopo l’iniziale entusiasmo, il tasso di abbandono era molto alto. In pratica non trovavano quello che pensavano di avere trovato. Mentre brancolavamo nel buio, arrivò sulle scene “Avatars United” con una forte impostazione sociale e un target molto specifico: gli utenti di Second Life, e in effetti la società fu acquisita da Linden Lab (Second Life). Noi a quel momento ripiegammo sulla parte contenuti e diventammo un aggregatore di contenuti digitali realizzati nei mmorpg. Gli indicatori di crescita migliorarono, la nicchia di mercato era ancora più piccola, ma in quella nicchia eravamo più efficaci e Koinup fu acquisita da Exit Reality nel 2012.

Se il problema principale delle startup “nice to have” è l’acquisition, quello principale del “product market unfit” è la retention. Gli utenti/clienti si catapultano per provare. Ma poi restano delusi e il churn rate altissimo rende impossibile la crescita. In pratica hai trovato la soluzione sbagliata ad un problema giustissimo.

Secondo il famoso growth hacker Sean Ellis, la crescita di una startup può essere scalabile solo se almeno il 40% dei clienti rimarrebbe fortemente deluso e arrabbiato se non potesse più usare il servizio. Detto altrimenti solo se almeno il 40% ritiene che il tuo servizio sia un “must have”.

In ottica “lean”, se la tua startup è “nice to have” devi fare pivot su un altro segmento di mercato o un differente problema, perché alternativamente non può crescere adeguatamente. Se la tua startup è “product market unfit” deve “reiterare” il prodotto in modo da diventare efficace, attraverso aggiustamenti progressivi.

Pierluigi Casolari – Startupper, Imprenditore seriale, CEO di YoAgents

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