Business Game: Startup aerodinamiche e Startup spigolose

Nel business game delle startup al business plan viene preferito il pitch e alla validazione del mercato viene preferita la capacità di public speaking del founder. Siamo d’accordo?

Pubblicato il 02 Dic 2019

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Viviamo in un mondo ad alta densità. Ce lo spiega Alessandro Baricco nel suo libro The Game. Le notizie, le informazioni, i fatti, le relazioni accadono con velocità impensabili rispetto all’epoca analogica. In questo contesto, ad avere successo sono le idee aerodinamiche. Quelle che si creano un varco tra milioni di altre idee e permangono sull’onda per un po’ di tempo. Le idee aerodinamiche sono quelle che per arrivare in superficie perdono esattezza e precisione (gli angoli e il peso) e diventano sintetiche, leggere e veloci (aerodinamicità).

E se tutto queste valesse anche per le startup?

Le piattaforme di crowdfunding, gli eventi per le startup e gli incubatori sono il nuovo “business game” in cui le idee di startup competono per la visibilità. Sono il nuovo acquario dove le idee possono salire in superficie oppure rimanere sul fondo. Per salire in superficie le idee di startup devono smussare gli angoli, diventare affusolate. I nuovi investitori del crowd come gli organizzatori di eventi per startup (il cui obiettivo è principalmente la visibilità) sono poco sensibili alla verità, alla complessità e più propensi alla sintesi e alla velocità. E così le startup aerodinamiche fanno capolino. E salgono sull’onda.

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Le riconosci perché hanno uno storytelling efficace, un video efficace, un founder fotogenico. Le riconosci perché dipingono il mondo in bianco e nero. Le riconosci perché hanno perso peso. Hanno capito che per rotolare bisogna essere rotonde e non quadrate.

D’altra parte gli investitori del crowd sono sensibili all’aerodinamicità. Spizzicano bocconi di startup tra 4-5 piattaforme, che incentrano la scheda della startup sul pitch e sul video più che sul business plan o sui risultati effettivi del business. Ecco il nuovo “Business Game” delle startup.

Qualche anno fa è stato creato lo storytelling originario. Quello della startup che nasce in un garage dal genio introverso di un programmatore nerd che tra un porno e l’altro crea il codice magico di Facebook, Instagram e Slack. Questo storytelling si è creato il varco tra milioni di altre notizie, e ha generato il mito della startup e del “founder & CEO” (la ricordate la t-shirt del Milanese Imbruttito: “Oggi ho conosciuto un “founder & CEO””). Poi il mito è cresciuto e si è riprodotto in mille forme. E’ diventato un mito mutaforma. Che a volte prende le sembianze “del movimento Fintech” (che rivoluziona le banche), o del movimento Foodtech” che rivoluziona il retail. O dei tanti altri trend. Poco duraturi.

Poco conta che la maggior parte delle startup che hanno raccolto più capitali sono quelle che hanno meno “traction” di mercato per i risultati all’interno del “Business Game”. Però al consumatore o al buyer che ha uno specifico problema – problema che la startup dovrebbe risolvere – non interessa lo storytelling ma che il suo problema venga risolto. E il giudice ultimo è proprio il consumatore, colui che usa o compra il servizio. Purtroppo nel nuovo business game delle startup al business plan viene preferito il pitch e alla validazione del mercato viene preferita la capacità di public speaking del founder.

Curiosamente nel corso di questo processo ci siamo ritrovati che l’idea originaria dello startupper introverso e nerd ha perso leggerezza. Nell’epoca di Tinder e Instagram il nuovo CEO è un nuovo influencer che galleggia sull’onda tra una raccolta di capitali e un’accelerata da parte di qualche “acceleratore”. Da qui la domanda per tutti i Founder & CEO è: li teniamo gli spigoli e la complessità oppure rendiamo la nostra idea aerodinamica? Non è una domanda retorica. Pensiamoci per davvero.

Pierluigi Casolari, imprenditore digitale seriale, Ceo di YoAgent

(Cover image credits: Maria Zaitseva)

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