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I dieci anni di LVenture Group

L’acceleratore guidato da Luigi Capello che è in procinto di fondersi con Digital Magics gira la boa della prima decade di vita e guarda a un futuro sempre più consapevole per le startup

Pubblicato il 13 Set 2023

L’acceleratore romano di startup LVenture Group, presso il suo hub situato al binario F della stazione Termini, ha festeggiato i suoi 10 anni con l’evento Envisioning: Venture Capital Showcase e presentando il libro Lo sguardo oltre. 2013-2023. 10 anni di LVenture Group.

Diversi sono stati gli interventi: dai fondatori Luigi Capello, Roberto Magnifico al presidente Stefano Pighini, dai fondatori delle startup in portfolio come Filippo Agostino di 2Hire, Marco Ogliengo di Jet-HR, Giovanni Stracquadaneo di GenomeUp, al corporate venturing, come Mattia Voltaggio di Head of Joule – ENI assieme a Mirela Jianu, Paolo Salvato e Pierpaolo Gambini di Leonardo, Daniele Pes e Rita Casalini di Ferrovie dello Stato, sino a Claudio Erba, fondatore & CEO di Docebo.

Attraverso i panel è stata raccontata la storia di LVenture, dalla sua fondazione alla post pandemia, una timeline di 10 anni che ha visto partorire 13 exit su più di 100 startup accelerate e in cui sono stati investiti circa 175 milioni di euro, 25 milioni direttamente da LVG e 150 milioni da altri investitori partner, fino alla fusione avvenuta a fine giugno con il suo (ex)competitor Digital Magics.

Si è discusso anche di quello che ci si aspetta dal venture capital italiano dopo il 2023: la seconda generazione di fondatori di startup, più strutturati dei primi; il cambio di paradigma delle figure senior provenienti dalle corporate che ora le abbandonano perché attratti dal modello startup; gli investimenti di una generazione di nativi digitali.

Sì è parlato dei trend attuali, come l’intelligenza artificiale: «L’impatto sulla produttività arriverà ma tra qualche anno, perché le aziende ora hanno bisogno di tempo per produrre servizi e prodotti che la integrino», spiega Claudio Erba.

E’ stato analizzato anche l’approccio del CVC italiano: «aprirsi alle startup è un investimento accelerato: vuol dire per una corporate ‘aprire il portone dell’azienda ed uscire e far circolare un po’ di aria’». Questa la metafora di Daniele Pes, head of Innovation, technology & digital industrial agreements & partnership – Ferrovie dello Stato. Utile per spiegare come alle corporate le startup servono perché modelli di aziende disruptive, che riescono a mutare il paradigma, a trovare un bisogno che ancora non è presente ma che lo sarà in futuro.

Ecco quindi l’esempio di ENI, azienda che sta cambiando strategia e totalmente core business: «In 15 anni in ENI non ho mai visto una situazione aziendale del genere» ha spiegato Mattia Voltaggio: ovvero una energy company che persegue l’obiettivo europeo, la decarbonizzazione entro il 2050: «Credo che la transizione energetica abbia dato a tutti gli imprenditori una ‘fame imprenditoriale’: nessuno si è mai immaginato una oil&gas company, ora energy company, investire nell’agricoltura o nel food. A oggi ci stiamo accorgendo che questo lavoro con le startup porta i nostri manager a dover acquisire quelle skill imprenditoriali: le competenze trasversali sono sempre più ibridate, e quindi per osmosi dobbiamo acquisire questa fame imprenditoriale, una minor avversione al rischio». Ecco la scommessa di ENI con Joul: prendere due vie parallele: aprirsi a nuovi business e avere manager sempre più competenti.

E’ intervenuto all’evento anche Marco Ogliengo, co-fondatore e CEO Jet HR, che ha ottenuto il round pre-seed italiano più grande del 2023: 4,7 milioni di euro. Secondo Ogliengo il nostro è un ottimo Paese per fare aziende in quanto “fare startup in Italia è bello perché c’è poca competizione e tanto talento giovane che già sa fare”. La sua strategia, che ha determinato il successo del round di Jet HR – ricordiamo che Ogliengo è reduce ormai temprato dalla sua exit del 2021(fusione) di Pronto Pro con Armut – è dovuta “in primis al fatto che risolveva un bisogno reale. Sono andato dagli angel investor in imprenditore, che da venture capitalist poi rinforzato da un po’ di cose: essere un B2B e questo piace ai fondi perché l’interlocutore è più razionale (rispetto che nel B2C), poi siamo andati prima dagli angel investor di alto profilo (esempio) dai fondatori di Satispay, e ho raccolto prima da loro che dai fondi”. In questo modo Ogliengo ha potuto avere l’appoggio giusto per poter avere un sì secco
dai fondi successivamente interpellati, che, vedendo appunto il coinvolgimento di tali investor, non ci hanno pensato due volte.

L’evento si è concluso con Marco Gay, presidente esecutivo di Digital Magics, contento di avere “nel nostro Paese per la prima volta non solo un leader italiano, ma un player europeo”, col presidente Stefano Pighini e il suo motto marinaresco lanciato per il futuro di LVG “Avanti tutta”, e infine con la citazione su Max Scheler, antropologo filosofico nonché ispiratore della teologia di Giovanni Paolo II, del Direttore generale della LUISS Giovanni Lo Storto: «’La persona è l’essere capace di aprirsi al mondo’ e io penso che l’innovazione, le startup, il successo di luoghi come questi ed eventi come questo che faremo, è proprio la capacità di tenere la mente aperta e di aprirsi al mondo, cioè di essere ancora più persone».

Capello: ora è importante proseguire il lavoro fatto fino a qui

A noi di Startupbusiness però non hanno saziato tutti gli interventi di corporate e startup, e così abbiamo voluto porre alcune domande direttamente a Luigi Capello.

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Come commenta questo evento, questi 10 anni di LVenture?

Sono molto contento. Siamo partiti come un gruppo di esploratori, di pionieri, eravamo ‘4 amici al bar’. Così è iniziato. Poi da lì, piano piano, abbiamo cominciato ad attrarre interesse: le università, le startup che cominciavano a venire sempre più da noi, gli investitori, e pian piano abbiamo creato un ecosistema.

Durante l’evento si è molto parlato del modello startup europeo e che l’Italia ha finalmente capito che non può rifarsi a modelli alla Silicon Valley. In che cosa consiste questo modello?

È un modello meno stressato su startup mirabolanti, startup che magari hanno più risultati concreti nel tempo ristretto, proprio perché il finanziamento è meno facile da trovare, per cui bisogna immediatamente fare risultato. Allora reputo questo un modello più sostenibile, non essendoci quei capitali, quegli investitori miliardari pronti magari a mettere 10-20 milioni come persone fisiche e poi magari non ci sono. E mi pare che in Europa ci sia un equilibrio e che stia crescendo.

E magari c’entra anche il discorso delle istituzioni come per esempio CDP che ha fatto alzare i deal?

Quello sicuramente, dovrebbero però accelerare un po’ i processi

Per esempio sulle nomine?

Sì, quelle sono in sospeso

magari per una strategia politica?

Non lo so. Purtroppo sembra esserci un po’ di disinteresse. Come per dire: poiché è una controllata di CDP non è il primo livello, è il secondo. Come dire: nessuno ci mette magari la testa. Però per il nostro settore, che è un settore per il futuro, c’è poca attenzione per una cosa che rappresenta una partita strategica per l’Italia.

Che cosa ne pensa dei 300 milioni che probabilmente verranno tolti dal Fondo per il sostegno al Venture capital di CDP per finanziarne uno nuovo fondo dedicato al made in Italy con una dotazione di un miliardo di euro?

Dispiace un po’ perché quello che è importante è sempre il concetto della startup: la startup è quella che in poco tempo può creare valore. Le medie imprese, anch’esse certamente strategiche, hanno un tasso di crescita molto più lento. È chiaro che entrambe debbano essere supportate, però togliere da un lato per mettere nell’altro non sembra una grande manovra strategica. Bisognava cercare capitali da altre parti.

E poi l’altra manovra che deve fare il Governo è stanziare dei soldi all’inizio e in seguito spingere gli altri a metterne, facilitando in primis i fondi pensione, dare agevolazioni fiscali. Ecco, per cui, se togli 300 milioni, dovresti almeno dare una facilitazione ai fondi pensione, casse di previdenza, per investire in venture capital. L’industria del futuro si crea oggi.

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un editoriale sulla contrazione dei mercati dopo 2 anni di boost. Si parlava di uno startupwashing, qualcosa che nell’ecosistema startup non sta più tornando. Cosa manca oggi alle startup italiane e cosa gli serve per sopravvivere a questo periodo?

Creare l’ecosistema: oggi abbiamo un po’ di ecosistema qui a Roma, a Milano, a Torino ecc. però dovrebbe essere una Startup Nation, una mentalità: il padre che dice al figlio ‘bravo che vai a fare la startup’. Chi le fa deve essere visto come un imprenditore del futuro, che porta ricchezza per un domani, che crea occupazione e valore. Ci vuole un cambio di mentalità collettivo. Se lo fa il piccolo, non è facile, ci impiegheremmo secoli. Ci vuole una regia sopra, e non parlo di soldi ma di commitment, impegno, metterci la faccia come fa Macron in Francia, che quando c’è un unicorno lo santifica. Anche la Francia ha avuto una riduzione del venture capital, però continuano a spingere. In questo momento bisogna ancora di più investire, metterci la faccia e spingere. Non bisogna perdersi.

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