L’equity in fase di crescita per startup e PMI: cosa c’è da sapere

Pubblicato il 10 Nov 2020

La ricerca di capitali di rischio (c.d. Equity) è una delle diverse fonti di finanziamento a disposizione oggi sul mercato per startup e PMI. In particolare, la ricerca di Equity permette alle realtà imprenditoriali di avere delle basi solide con cui avviare e accelerare il proprio percorso di crescita attraverso l’ingresso di nuovi soci. Può essere richiesto in tutte le fasi dell’impresa: dalla fase iniziale (c.d. Preseed o Seed) a quella della crescita (scaleup o growth) fino alla fase di maturazione. In questa analisi ci concentreremo sulle caratteristiche della raccolta di capitali per le aziende che si trovano nella loro fase di crescita.

Analizziamo in particolare questo particolare momento della vita di una impresa.

Non esiste in verità una definizione univoca di “fase di crescita” per le startup. Alcuni utilizzano parametri basati sul fatturato, altri sulla marginalità, altri ancora adottano KPI quali, ad esempio, utenti iscritti, prodotti venduti etc.

In generale si può stabilire che la fase di crescita si differenzia dalla fase iniziale da alcuni punti chiave: il team è già formato, il prodotto/servizio è ben strutturato, i clienti crescono e con essi i ricavi.

In questa fase, solitamente, l’esigenza dell’azienda è dunque quella di aumentare i volumi nello stesso mercato in cui opera, aumentare i prodotti/servizi offerti, cercare nuovi sbocchi eventualmente tramite un percorso di internazionalizzazione e, in alcuni casi, procedere alla crescita per linee esterne acquistando altre aziende.

Tipologie di investitori

In questa fase ci si può rivolgere in via principale a 3 categorie di investitori: venture capital, corporate venture capital e investitori finanziari. Tra queste tre tipologia ci sono differenze di approccio enormi. È importante orientare la ricerca sulla tipologia più vicina al proprio percorso.

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Il venture capital (VC) ha interesse nel massimizzare il proprio investimento in fase di exit. Non è quindi interessato all’utilizzo del prodotto/servizio ed è, solitamente, poco attratto da altri tipi di ritorni finanziari (su tutti, la distribuzione dei dividendi). Il VC quindi fornisce un’importante accelerazione sia a breve che a medio-lungo termine ma non si tratta di un matrimonio.

Il corporate venture capital invece è mosso dall’interesse a creare sinergie operative con l’azienda per cui opera e, molto spesso, ad iniziare un percorso che possa portare in ultima istanza all’acquisizione della startup stessa. Può avere quindi una mira sul controllo finale del business.

Gli investitori finanziari, infine, sono interessati ad un ritorno esclusivamente di carattere economico anche a breve termine guardano sì all’exit ,ma sempre più spesso sono soprattutto interessati alla distribuzione dei dividendi con una cadenza periodica, secondo un approccio sempre più simile a quello del Private Equity. Solitamente, si riuniscono in un c.d. “Club Deal”, gestito ed organizzato da un Lead Investor che può essere un soggetto finanziario (private banks, family offices, etc) o una persona fisica (business angel). Sono una fonte importante ma non paziente.

Le tre fasi del fundraising

Il processo prevede tre fasi. La prima, quella di preparazione, viene svolta esclusivamente all’interno dell’azienda, quando vengono prese le decisioni più importanti, ovvero: valutazione premoney, ammontare dell’aumento di capitale, elenco degli investimenti da compiere, investitori target, principali covenant.

La seconda fase è quella di ricerca e trattativa, quandosi inizia effettivamente a dialogare con l’esterno. La ricerca dei possibili investitori non è semplice, per questo è importante che l’azienda faccia scouting e contatti direttamente i possibili investitori. Quasi tutti sono strutturati in modo da rispondere prontamente anche a form di contatto.

Una volta contattati iniziano le valutazioni e le trattive: alcuni risponderanno molto rapidamente di non essere interessati, altri inizieranno uno scambio documentale e varie incontri/call di avvicinamento. Spesso i principali punti di negoziazione sono rappresentati dalla valutazione premoney e da alcune covenant, in particolare quelle sull’exit.

Nel caso in cui le trattative dovessero proseguire in maniera strutturata, prenderà il via un percorso di Due Diligence che può durare diversi mesi. In caso di esito positivo, si arriva infine al closing e al versamento delle somme che avviene sempre più spesso in un’unica tranche.

Le variabili da valutare sono moltissime, ma concentrandosi su quelle maggiormente rilevanti, occorre prestare attenzione a:

· L’importo: va calibrato sull’effettivo fabbisogno. Raccogliere più soldi non è sempre una vittoria, spenderli male è per certo un grave errore che si pagherà in fase successiva.

· La valutazione: se elevata, ha il vantaggio di una diluizione più bassa dei soci preesistenti ma presenta l’enorme problema di “alzare l’asticella” nelle fasi successiva, precludendo molto spesso futuri aumenti di capitale e soprattutto exit.

· Documentazione: le scelte degli investitori vengono prese sia sulle persone che, soprattutto, sui numeri. È cruciale avere una documentazione completa, professionale e il più possibile semplice ed intuitiva.

· Due Diligence: Solitamente chi si occupa della due diligence è esperto, scava a fondo e va parecchio indietro nel tempo. Buona parte della preparazione ad una due diligence va pianificata prima; in alcuni casi errori commessi negli anni passati possono compromettere la buona riuscita di un’operazione.

· Closing: un fundraising ha preparativi lunghi e, una volta concluso, spiega i suoi effetti a lunghissimo termine. Per questi motivi è importante essere trasparenti e non accettare impegni che non si possono (o non si vogliono) mantenere. Tornare indietro è veramente molto complicato.

Scritto da Giuliano Gigli, CEO & Founder di Blue Ocean Finance

(photo credits: Karolina Grabowska da Pexels)

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