Benessere

Cos’è la sindrome da burnout che colpisce gli startupper

La sindrome da burnout è una condizione di esaurimento, spesso associata al lavoro, con grandi ricadute sulla salute del soggetto. La guida dell’esperto.

Pubblicato il 02 Nov 2021

Una tendenza che già era presente in pre-pandemia, oggi è ancora più rilevante: aumenta il burnout lavorativo, che con l’esplosione dello smart working non riguarda più solo manager, imprenditori, freelance, nomadi digitali, startupper  (tutti lavori, tipicamente, senza orari), ma qualsiasi lavoratore ‘da scrivania’.  Sta di fatto che non si stacca mai la spina.

Fatto che ha conseguenze per la nostra salute: si chiama sindrome da burnout ed è una conseguenza patologica, di esaurimento, per l’eccesso di stress da lavoro e l’importanza totalizzante di esso nella nostra vita. Un fenomeno in costante e graduale aumento che interessa, statisticamente,  principalmente chi abita nelle grandi città o in aree industriali.

Colpisce tantissimo gli startupper: perché creare una startup è un lavoro full-time, che non lascia spazio a niente altro, coinvolge totalmente, facendo spesso dimenticare che esistono spazi che devono essere rispettati anche per altre attività, un tavolo da ping-pong non è sufficiente per il work-life balance.

E pensare che il burnout è una delle 20 cause più frequenti di fallimento della startup!

Per capire meglio di cosa si tratta e come affrontarla, abbiamo chiesto aiuto alla Dott.ssa Katiuscia Zerbi, psicoterapeuta e psicologa.

Cos’è la sindrome da burnout: una definizione

La Dott.ssa Katiuscia Zerbi, psicologa e psicoterapeuta

Il termine fa riferimento a una condizione di esaurimento, di crollo emotivo, ovvero una situazione di forte stress legato o derivante da un contesto lavorativo stressante, appunto, a livello psicofisico ed emotivo, con grandi ricadute sulla salute generale del soggetto.

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Gli studi e le ricerche attorno a tale manifestazione hanno preso il via dall’America degli anni ’70, ma solo di recente è stata attribuita l’importanza che merita, conferendogli una dimensione autonoma.

Tale definizione è stata utilizzata per la prima volta dalla psichiatra americana C. Maslach, nel 1975, per indicare una sindrome i cui sintomi evidenziano una patologia comportamentale legata a quelle professioni che si interfacciano, a livello relazionale, con molte persone, come medici, infermieri, psicologi, operatori di comunità, assistenti sociali, insegnanti, avvocati. Ma anche, e sempre più spesso, tutte quelle persone che quotidianamente sono sotto pressione per raggiungere determinati obiettivi professionali, ad esempio i manager e gli imprenditori.

Lo stress e la pressione a cui è sottoposto uno startupper, per esempio, è molto elevata: lavora senza orari e senza riposo, spesso dimentica la vita di relazione, è costantemente ossessionato dal pensiero della sua startup. In più, vive momenti di particolare impegno emotivo nelle fasi che lo mettono alla prova con il confronto e l’approvazione degli altri: investitori, riscontri sul mercato, il lancio di un prodotto che non va bene. Vive costantemente in una fase di sprint, verso un traguardo che tante volte risulta, irragiungibile.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il burnout come un fenomeno occupazionale derivante da uno stress cronico mal gestito, ma non si tratta di una vera e propria malattia, piuttosto di un “problema legato alla professione”. Tuttavia, tale sindrome può portare a una condizione di grande sofferenza personale e compromettere gravemente la qualità della vita. Per questo motivo è stata inserita per la prima volta nella classificazione dell’ICD 11, che entrerà in vigore nel Gennaio 2022.

Le cause più comuni della sindrome da esaurimento lavorativo

Le cause di insorgenza del burnout non sono mai associate esclusivamente al carattere dell’individuo o al contesto lavorativo di riferimento, quanto piuttosto all’unione di entrambi i fattori, che insieme contribuirebbero a determinare lo stato di malessere dell’individuo e che sfocerebbe nella patologia conclamata.

L’emergere di tale condizione andrebbe considerata sia da un’ottica clinica, cercando di individuare quelle che potenzialmente potrebbero rappresentare delle caratteristiche di personalità che renderebbero una persona più vulnerabile e quindi maggiormente esposta alla sindrome da burnout, sia analizzando il contesto lavorativo dal punto di vista psico-sociale.

Tra i fattori individuali troviamo: l’introversione, la tendenza a porsi degli obiettivi irrealistici, lo stile di vita iperattivo, l’abnegazione al lavoro, il concetto di se stessi come indispensabili.

A livello socio-demografico, si riscontra che a soffrirne maggiormente sono le donne, i lavoratori alle prime esperienze e coloro che non hanno una vita affettivo-relazionale significativa.

Le tensioni invece, attribuibili al contesto organizzativo riguardano l’ambiguità del ruolo, il conflitto di questo, il sovraccarico lavorativo, l’assenza di stimoli e la retribuzione inadeguata. Nelle professioni di aiuto il contatto con pazienti gravi, sia dal punto di vista fisico (malati terminali o cronici) che psichico (psicosi, ritardo cognitivo) richiede un coinvolgimento e una disponibilità emotiva elevata e per lunghi periodi, che potrebbe essere causa di affaticamento, portando quindi a vivere momenti di particolare sofferenza che possono sfociare in una patologia grave.

A volte il luogo di lavoro viene vissuto come un aspetto deludente, reo di non aver saputo accogliere a sufficienza le aspettative e i desideri del lavoratore, che si trova a dover fronteggiare e rispondere a richieste provenienti da un doppio versante: quello con l’utente e quello con l’istituzione stessa.

Sintomi del burnout: i campanelli d’allarme

Il burnout non si manifesta mai come una crisi o un crollo improvviso, al contrario si riconosce in quanto si cominciano a provare gradualmente sentimenti nuovi e che possono condurre progressivamente, ma inesorabilmente, all’esaurimento. Tra questi si possono citare lo svuotamento di significati, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, senso di colpa e di sistima, scoraggiamento, negativismo, isolamento e ritiro, senso di stanchezza, notevole affaticamento dopo il lavoro, perdita di sentimenti positivi, incapacità di concentrarsi e il rimandare gli impegni. Tra i sintomi specifici abbiamo un’alta resistenza a recarsi al lavoro. Quando si iniziano ad avere questo genere di problemi può capitare di assentarsi più spesso, di commettere errori ed essere distratti, fino a manifestare comportamenti aggressivi, anche con persone con cui prima si andava d’accordo.

Cura e rimedi

Per poter vivere e lavorare sufficientemente bene occorre, ovviamente, avere cura di se stessi. Certamente uno stile di vita sano ed equilibrato, in cui si dedichi un giusto spazio alla vita relazionale, familiare, al tempo libero e avere un sonno regolare, può aiutare a prevenire il rischio di burnout. Ma non è sempre sufficiente, in generale sarebbe opportuno, per le Istituzioni – di qualunque ambito si occupino – avvalersi di una supervisione del contesto lavorativo a garanzia del buon funzionamento dell’intero gruppo. Un team che sta bene nel luogo di lavoro rappresenta un vantaggio per le aziende sia in termini di produttività e dunque di economia.

Infine, è consigliato avvalersi dei consigli di un professionista specializzato, come uno psicologo o uno psicoterapeuta, col quale poter meglio comprendere la natura del malessere avvertito soggettivamente. Ciò in genere rappresenta un ottimo punto di partenza e una possibilità adeguata per ristabilire un discreto equilibrio psicofisico.

Dopo aver parlato con la Dott.ssa Katiuscia Zerbi di cos’è la sindrome da burnout, visto le cause e i rimedi, abbiamo chiesto alla dottoressa Monica Pesenti, psicologa di Monza e Brianza, di darci qualche indicazione più precisa su buone abitudini che possono aiutarci a risolvere , o meglio ancora, a prevenire l’esaurimento da lavoro.

Prevenire l’esaurimento da lavoro: l’importanza del luogo di lavoro

Lavorare da casa (o nel proprio garage), insomma in un luogo familiare e per noi confortevole, aiuta a sentirsi più sereni, tranquilli e rilassati nella gestione e nell’organizzazione del proprio lavoro, con effetti positivi sulla salute e sulla produttività. Una postazione di lavoro ridefinito secondo le proprie necessità e la propria creatività, stimola la riflessione e favorisce la concentrazione, mentre la gestione più autonoma della to do list spinge a superare i propri limiti a vantaggio della scoperta di risorse individuali, aumenta il senso di responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi e crea rapporti di fiducia più solidi con il team di lavoro. “Tutto questo genera una maggiore motivazione, autostima e senso di autoefficacia, con un conseguente aumento del benessere psicologico e dell’energia vitale”, spiega la dottoressa Pesenti.

Nel ritmo frenetico della vita quotidiana poter ottimizzare il proprio tempo e riuscire a conciliare in modo efficiente gli impegni personali e quelli lavorativi è sicuramente importante. Ad esempio, eliminare il tragitto casa-lavoro, in molti casi fonte di stress e nervosismo, consente di dedicare una parte consistente della propria giornata ad attività utili per rigenerarsi non solo a livello mentale, ma anche emotivo e fisico; inoltre, trovarsi già tra le mura domestiche permette di organizzare con più calma la propria routine e l’organizzazione familiare, soprattutto per chi è genitore.

Ndr: tutto questo va contestualizzato se si lavora necessariamente e sempre in team, identificando delle modalità e dei luoghi di lavoro ottimali per tutti. 

Trucchi per evitare burnout, distrazioni e nervosismo

La psicologa ricorda che spesso i nuovi strumenti tecnologici, se da un lato agevolano chi lavora da remoto, dall’altro assottigliano il confine tra vita privata e vita lavorativa: si tende, infatti, a essere sempre raggiungibili e disponibili e questo può creare o aumentare i conflitti all’interno del nucleo familiare. Non solo, restare connessi troppo a lungo espone anche a rischi per la propria salute psichica, che può essere compromessa a causa dello svilupparsi della dipendenza tecnologica o burnout, termine con il quale si indica lo stress provato al lavoro e che determina un logorio psicofisico ed emotivo. Il segreto è cercare di non sovrapporre il tempo di prestazione lavorativa con quello personale e predisporre la postazione di lavoro con supporti necessari allo svolgimento dell’incarico senza eccedere utilizzando dispositivi elettronici personali, talvolta fonte di distrazione e irritabilità.

Come illustra la dottoressa Pesenti, può accadere che si creino interferenze e situazioni di disagio dovute dalla condivisione di spazi con altri componenti della famiglia o eventuali animali domestici, tutti fattori che non aiutano la concentrazione e creano ulteriore stress. Per questo, quando si lavora da casa, è importante dare ai familiari più informazioni possibili sulla struttura del lavoro che si deve svolgere, descrivere le esigenze e le emozioni che si provano quando si viene disturbati e stabilire nuove norme condivise nella quotidianità per “ristrutturarsi” e per creare una maggiore empatia. È bene rispettare il più possibile i tempi che scandiscono vita lavorativa e familiare per non alimentare screzi, anche creare un luogo di lavoro lontano dalle parti comuni può aiutare, così come scandire l’orario giornaliero con un inizio e una fine, con pause a intervalli regolari (es: 10 minuti ogni due ore) e attività rigeneranti a fine giornata. Praticare sport, dedicarsi ai propri hobby o ad attività all’aria aperta, così come seguire un’alimentazione adeguata e regolare, e non trascurare il proprio aspetto, sono azioni importanti per assicurare il benessere psicofisico.

Burnout: ripartire dalla cura del corpo

Il lavoro dello startupper è per lo più sedentario da un punto di vista fisico: ore e ore chini sul computer (da soli o in compagnia), si sta in piedi solo in queste occasioni: telefonate, pranzo, pitch.

E’ chiaro che ciò non fa bene all’apparato muscolo-scheletrico. L’osteopata e massofisioterapista modenese Tommaso Sarti, illustra gli svantaggi derivanti dalle posture errate che, se trascurate, possono avere ripercussioni gravi sul fisico.

“La posizione seduta grava sulla colonna molto più che la stazione eretta – dice Tommaso Sarti – e si può andare incontro a contratture muscolari, protrusioni o ernie discali che, se sottovalutate, rischiano di cronicizzare. Anche il modo in cui si posizionano gli arti superiori quando si è seduti è importante: per esempio, l’utilizzo del mouse che porta il polso a mantenersi in estensione per un periodo di tempo prolungato, può favorire l’insorgenza del tunnel carpale. È fondamentale, dunque, a casa come in ufficio, predisporre una postazione di lavoro il più possibile ergonomica, collocare lo schermo del computer frontalmente, con il margine superiore all’altezza degli occhi e la tastiera fronte allo schermo, così da evitare ripetuti movimenti degli occhi e del collo con conseguenti dolori cervicali.

10 raccomandazioni d’oro per il fisico

1.       Posizionare frontalmente monitor, tastiera e tutto il materiale di lavoro;

2.       Utilizzare una seduta ergonomica o il supporto di un cuscino dietro alla regione lombare;

3.       Preferire un tappetino per il mouse con poggia-polsi;

4.       Interrompere l’attività lavorativa più o meno ogni mezz’ora, alzandosi in piedi e camminando per qualche minuto;

5.       Scegliere un ambiente luminoso durante le ore diurne e abbassare la luminosità dei monitor nelle ore serali per non disturbare il sonno;

6.       Non tenere le gambe accavallate per troppo tempo;

7.       Non lavorare in posizioni scomposte su divano o poltrona;

8.       Non tenere oggetti nelle tasche posteriore dei pantaloni;

9.       Non inclinare la testa di lato per sorreggere il telefono durante le chiamate;

10.   Non piegare la testa in avanti per leggere, ma alzare il foglio o il dispositivo elettronico.

Il sonno, grande alleato anche per prevenire l’esaurimento

Qualche anno fa Arianna Huffington, fondatrice dell’Huffington Post, uno dei blog/testate giornalistiche  più influenti degli Stati Uniti, è svenuta per il sonno, cadendo sulla sua scrivania e rimediando un frattura allo zigomo e 5 punti all’occhio destro.  Un incidente che le ha però aperto gli occhi sulle priorità della vita, in particolare su ‘perché devo mettere il lavoro prima della mia stessa salute?”, e riconsiderare l’importanza dei bisogni fondamentali, ad esempio il sonno, come chiave per il successo. A ciò ha dedicato il libro “The Sleep Revolution” , e svariati interventi come questo.

L’importanza del sonno è riconosciuta dalla scienza, si tratta di un periodo di ricarica del nostro corpo necessario per recuperare eliminare le tossine, rigenerare cellule e tessuti, recuperare energie psico fisiche e fare il reboot del cervello, che con una buona dormita recupera sprint, lucidità e libera creatività: durante il sonno, aumenta la produzione delle cellule che vanno a formare la mielina, una sorta di guaina protettiva isolante che consente la corretta veicolazione degli impulsi nervosi. Questo spiegherebbe perché un sonno ristoratore e la giusta quantità di riposo ci permettono di essere più lucidi, reattivi e durante il giorno e di come, invece, i disturbi del sonno possono metterci in difficoltà.

Infine, il sonno serve per riorganizzare e consolidare la memoria. Il cervello infatti approfitta della “pausa” notturna per rielaborare ciò che ci è successo durante la giornata, in altre parole in questo modo il cervello seleziona, fa ordine, apprende e si mette nella condizione di generare nuove idee.

Cosa dice l’esperto di startup Bill Aulet a proposito del sonno

Anche Bill Aulet, l’esperto di imprenditorialità,  manager e imprenditore, oggi docente al MIT e divulgatore, che ha scritto “La disciplina dell’imprenditore – 24 passi per una startup di successo“, pubblicato In Italia da Franco Angeli, in un post su EconomyUp,  affronta il tema del sonno. Ecco cosa dice.

Secondo l’autore, esiste questa ‘malsana’ abitudine molto presente nel mondo startup (si citano Steve Jobs, Elon Musk e Jack Dorsey famosi per le loro 18 ore di lavoro che non lasciano spazio al sonno mai) in base alla quale “il sonno è per i deboli” o, in altri termini,  è qualcosa di cui non si può occupare chi ha la missione di cambiare il mondo.

D’altra parte esistono esempi di campioni dello sport come Roger Federer, Lebron James, Usain Bolt, Steve Nash, Venus William, che sono soliti dormire almeno 12 ore al giorno.

“Bene, ho vissuto entrambe le situazioni e vorrei parlarne. – dice Aulet – È risaputo che, per gli atleti, il sonno è fondamentale per mantenere alto il livello delle prestazioni poiché permette al corpo di rinvigorirsi. Questo è essenziale per la loro professione, ma non possiamo forse dire lo stesso degli imprenditori? Nel corso degli anni, l’esperienza mi ha insegnato che è certamente vero “.

Nella sua esperienza personale, dice Aulet, una buona notte di sonno (9-10 ore) migliora la produttività e la lucidità, soprattutto se il giorno successivo deve scrivere o pensare molto. ‘Se non dormo almeno 8 ore, la mia produttività si riduce drammaticamente. Come diceva il grande allenatore di basket John Wooden, svolgere un’attività non significa aver raggiunto l’obbiettivo. Lo vedo chiaramente quando lavoro: la quantità di ciò che riesco a produrre (ad esempio il numero di pagine che scrivo) non dipende solo dal tempo che ho necessariamente dedicato. Per ottenere dei buoni risultati, ho bisogno di essere riposato e di avere la mente lucida’.

Detto questo, nell’imprenditorialità a volte è necessario correre, dice Aulet. Proprio per questo è ancor più vero il fatto che nella regolarità, nel day-by-day, non ci si può massacrare come se non ci fosse un domani, perché il domani arriverà e potrebbe richiede quello scatto in più che ti sarà impossibile fare se ci arrivi già stanco e compromesso. “In un’organizzazione imprenditoriale deve esserci un po’ di stress, proprio come nelle squadre sportive di successo. Come nell’imprenditorialità e nella vita, è una questione di equilibrio”.

Al MIT, racconta, nel programma delta V quest’anno, Trish Cotter ha introdotto per la prima volta delle lezioni sul benessere tenute dall’ex studente Katheen Stetson. Kathleen era un’imprenditrice molto impegnata e viveva la pressione del dover “fare sempre di più, sempre più velocemente”. Alla fine, questo stile di vita non si è rivelato efficace e ha iniziato a metterne in luce le conseguenze. Ha scoperto che in molti erano nella sua condizione. Non puoi essere produttivo se non ti senti bene. L’imprenditorialità è un lungo viaggio, non una corsa.

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