Bankitalia analizza le startup innovative, ecco cosa ha scoperto

Pubblicato il 02 Set 2016

Il documento è stato pubblicato dalla Banca D’Italia subito prima della pausa estiva, riporta la data di luglio 2016. È scritto in inglese e riporta il seguente titolo: ‘N.399 – Le Start-up innovative in Italia: le loro caratteristiche e l’effetto della legge del 2012’ ed è scritto da Paolo Finaldi Russo e Silvia Magri. In pratica, è la prima analisi analitica di come la legge sulle startup ha avuto fino a ora impatto sulla creazione e la crescita di imprese nate per portare sul mercato prodotti e servizi innovativi.

La legge è controversa, dal punto di vista della sua capacità di fare crescere l’ecosistema ha deluso molto perché da quando è in vigore non si è registrata quella crescita degli investimenti che ci sarebbe potuti attendere e l’Italia resta ai margini di un sistema economico che vede Paesi con economie simile alla nostra investire ormai cifre che spesso superano il miliardo di euro l’anno, mentre ci sono Paesi molto più piccoli che stanno raggiungendo i valori nostri che a stento sfiorano i 150 milioni di euro l’anno. Insomma gli incentivi della legge hanno prodotto ben poco e anche se nel 2016 dovessimo assistere a un’accelerazione degli investimenti difficilmente potremmo superare la cifra di 200, 250 milioni di euro che sarebbe, benché crescente, ancora assai ridotta rispetto a quanto avviene in Francia o Spagna per esempio. Fino a che in Italia non si arriverà almeno al miliardo di euro di investimenti annui in startup (che siano innovative a rigor di legge o meno) saremo sempre costretti a rincorrere e a vedere molti dei nostri imprenditori prendere la via dell’estero.

D’altra parte però la legge qualche pregio lo ha: ha creato consapevolezza verso l’importanza delle startup innovative, e, secondo quanto rilevato dal rapporto della Banca D’Italia ha permesso di individuare tendenze specifiche nelle modalità con le quali si valutano gli asset intangibili, con cui si attuano gli investimenti e con cui si definiscono strategie per trasformare le idee in prodotti e soluzioni da portare sul mercato, ciò soprattutto in relazione alle tempistiche che vedono le startup legalmente compatibili con la norma a loro dedicata impiegare molto più tempo, rispetto ad altre imprese e a startup ad alta tecnologia non aderenti alle richieste della legge, a giungere con la loro offerta sui mercati.

A mettere le mani dentro il rapporto ci ha pensato anche il sempre puntuale #Truenumbers  che mette in luce i dati principali rilevati e richiama la domanda che la Banca D’Italia stessa si fa: ha senso rinnovare i benefici della legge del 2012 che scadono a fine 2016? Aldilà della considerazione di #Truenumbers che evidenzia come il fatturato delle imprese con i parametri di legge della startup innovativa è mediamente la metà di quello delle altre che il rapporto ha usato per il confronto e che nel campo manifatturiero, che resta voce fondante dell’economia del Paese, i benefici di tale legge sono pressoché nulli; va ancora una volta ricordato che il principio sul quale la legge stessa di basa è anti-mercato oltre che, come detto, inefficace. Perfino Corrado Passera, che all’epoca del varo della legge era ministro dello Sviluppo Economico e quindi responsabile del provvedimento, ha recentemente affermato che la norma richiede una profonda revisione e che i criteri di individuazione delle startup che possono godere dei benefici devono essere maggiormente orientati al mercato. Ciò anche per evitare che vi siano storture di varia natura come per esempio quella rilevata da una ricerca condotta dalla società Instilla in cui si mette in luce come molte delle startup innovative iscritte all’apposito registro che fa riferimento alla legge non hanno nemmeno un sito web.

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L’analisi di Banca D’Italia diviene così uno strumento utile per comprendere più a fondo come questa legge possa essere migliorata, come le azioni che fino a ora hanno prodotto pochissimi risultati possano essere migliorate e come si possa, approfittando proprio della scadenza degli incentivi, rinnovarli in modo migliore. Certamente vanno rivisti i criteri lasciando che sia il mercato, quello degli investitori, a decidere quali siano le startup sulle quali puntare, creando strumenti che aiutano le stesse non solo nella partenza ma anche nella crescita. E anche qui serve ribaltare la logica che non può più essere basata sulla quantità delle startup aderenti alla norma, ma deve concentrarsi sulla qualità delle stesse in relazione alla loro capacità di creare valore, di crescere, di creare posti di lavoro, di diventare internazionali.

Serve accrescere l’incentivo per gli investitori che il 19% attuale sotto forma di detrazione non è sufficiente per attirare in questa direzione gli investimenti dei privati, dei fondi specializzati, e anche di altre aziende. La cosa va fatta subito, approfittando in modo intelligente del clima finanziario attuale che vede i tassi di interesse essere bassissimi e quindi molti investitori con favore potrebbero valutare altre forme per fare lavorare i loro soldi. Serve creare maggiore cultura verso questo tipo di investimenti creando consapevolezza sia sulle modalità, per esempio la bassa liquidità; sia sulle potenzialità, quindi l’investimento che si traduce in potenziale valore industriale e quindi crea più benefici di quanto possa creare un investimento puramente finanziario (di questi temi Startupbusiness ha parlato di recente con Luigi Capello di LVenture (video-intervista) e con Dario Giudici di SiamoSoci (video-intervista).

Tutto ciò per far crescere gli investimenti, cosa che come detto è vitale per dare all’ecosistema italiano una spinta finalmente decisiva nonché dignità internazionale e magari attirare maggiormente gli investitori internazionali verso le startup nostrane che sono, senza timore di smentita, di altissima qualità e professionalità come dimostra chiaramente anche la seconda edizione di ScaleIT che si terrà a Milano il 12 ottobre 2016 e vedrà 15 scaleup italiane incontrare oltre venti investitori internazionali.

Emil Abirascid

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